Referendum, quorum mancato: il dato politico

Referendum, quorum mancato: il dato politico
Referendum: quesito cittadinanza

Da spallata al Governo a boomerang per l’opposizione il passo è breve

I 5 quesiti referendari sul lavoro e la cittadinanza breve hanno fatto flop. Nessuno di essi, infatti, ha neppure lontanamente avvicinato il quorum del 50+1, fissato dai padri costituenti, affinché fosse valido: 30,58% è stata la percentuale toccata – inferiore di venti punti alla maggioranza assoluta del corpo elettorale -; 14.068mln il numero di aventi diritto al voto recatisi alle urne su 45.997mln di italiani/elettori. Meramente per diritto/dovere di cronaca, si riporta che tutti i referendum hanno vista l’affermazione dei sì con percentuali oscillanti tra l’86,06% del quesito su reintegro licenziamenti illegittimi e il 65,49% di quello sul dimezzamento dei tempi per la concessione della cittadinanza italiana; e qui sta uno dei risultati più eclatanti, in negativo per i promotori della tornata referendaria dell’8 e 9 giugno, della chiamata alle armi, pardon, alle urne, appena passata.

Considerando, infatti, che la stragrande maggioranza, per non dire la pressoché totalità, di coloro che si sono recati ai seggi per votare può essere classificata come afferente all’area politico-elettorale del centrosinistra o campo largo, balza all’occhio che tra gli stessi elettori dell’area guidata dal duo Schlein-Conte c’è una fetta consistente che rigetta uno dei cavalli di battaglia della sinistra terzomondista e immigrazionista sugli stranieri “risorse” per il nostro sistema economico-lavorativo-pensionistico. Su 14mln circa di voti espressi sul quesito numero 5, circa 4.8mln di questi, corrispondenti a una percentuale del 34,51%, afferiscono al no all’ipotesi referendaria di dimezzare i tempi per la concessione della cittadinanza italiana da 10 a 5 anni. In altre parole, anche a sinistra, e pare siano in tanti, c’è chi non reputa affatto un bene quello di estendere a dismisura diritti, sostegni, prebende a la qualunque in un Paese come l’Italia che, a differenza di quanto diffuso dai media della propaganda di Governo, è sull’orlo di un baratro economico-sociale e rischia, seriamente, di precipitare giù tra disoccupazione, emergenza abitativa, fuga di giovani, giusto per citare solo alcune delle più palesi criticità.

Insomma, quella che alla vigilia del voto veniva passata e/o percepita come un preavviso di sfratto all’Esecutivo a guida Giorgia Meloni, si è invece rivelato essere quasi un favore al presidente del Consiglio dei ministri che, all’indomani del voto referendario, esce rafforzato e non indebolito come, forse, speravano e si aspettavano il segretario della Cgil Maurizio Landini e soci. Hai voglia, adesso, a star lì con la calcolatrice a controllare e ricontrollare se i sì ai referendum sul lavoro sono pari, inferiori o superiori di qualche migliaio di voti ai consensi raccolti dal centrodestra meloniano alle ultime Politiche nel 2022. È questa un’attività meramente speculativa e politicamente inconcludente alla quale i Boccia e company si sono ormai abbandonati da tempo immemore.

In conclusione, riassumendo, “andarono per suonare ma furono suonati”, lasciando sul campo della battaglia politica la sola, unica, vera vittima di una sconsiderata campagna referendaria: la democrazia diretta che chi scrisse la nostra Costituzione volle si esercitasse, appunto, attraverso lo strumento del referendum abrogativo che, ora, rischia seriamente di essere ridimensionato, togliendo ai cittadini italiani una delle poche forme di controllo diretto sulla politica ancora rimasta in Italia.

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